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Scandolara Ravara
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Storia
Scandolara Ravara è un piccolo paese che ha origini storiche molto lontane: probabilmente colonia romana o forse posto di guardia al Po che lambiva la “Chiesa Vecchia”. Proprio qui è stata trovata un’ara, cioè un altare pagano, su cui si sacrificavano piccoli animali. L’ara si trova ora presso il Museo Archeologico nel castello Sforzesco di Milano. Da questa prima notizia, che fa risalire la presenza di un piccolo nucleo abitativo romano (o almeno di soldati romani) risalente al 70a.C/70d.C, dobbiamo aspettare alcuni secoli per avere qualche altra informazione che ci consenta di affermare che il paese, o case sparse, esistevano nella zona. Purtroppo le inondazioni del Po, da quella più lontana citata da Tacito intorno alla fine del primo secolo, a quella del 1640, hanno profondamente modificato il territorio e, quindi, anche l’insediamento che, anche dopo il 1640, ruotava attorno alla Chiesa Vecchia. Il Po, nelle sue uscite alluvionali, formò i cosiddetti “bodri” alcuni dei quali esistevano (secondo lo storico Romani) già nel 1496, anno in cui il fiume inondò tutto il territorio di Scandolara Ravara.
Nel 1211 il paese viene citato col nome di Scandolaria de Ripa Padi (Scandolara vicino alla riva del Po). Secondo alcuni studiosi, come l’Olivieri, fanno risalire il termine Scandolara dal prodotto “scandola o scandella” che il Muratori definisce una specie di orzo, un legume. Ravara deriverebbe da “rapaio”, produzione abbondante nella zona. Altri studiosi, analizzando la parola Scandolara (radice + tema + significato latino) affermano che tale vocabolo significa: “agglomerato posto su un’altura”.
Scandolara dal 1426 al 1870 è parte del feudo dei Ponzone e pur senza essere protagonista di fatti importanti ne condivide le sorti e si trova coinvolta nelle sue vicende. Ma è a Castelponzone che i Ponzone stabiliscono la sede del feudo e dove si gode dei maggiori privilegi. Nel 1456 si concede di tenere un mercato settimanale nel giorno di giovedì ed anche la fiera di San Luca la terza domenica di ottobre. è a castelponzone che ci sono le botteghe che fanno del paese un centro commerciale. Scandolara non ebbe alcun vantaggio economico, solo la presenza del feudatario nella Chiesa Vecchia per gli uffici religiosi fino alla costruzione della chiesa a Castelponzone.
Pochissime e marginali le notizie del nucleo abitato della “Ravera” le cui case sparse trovavano la loro unità intorno alla chiesa di sant’Antonio. Anche la Chiesa Vecchia perse via via d’importanza con lo spostamento degli abitanti verso l’attuale centro del paese con la costruzione della chiesa di santa Maria Assunta. L’evoluzione nel tempo dei tre nuclei abitati e delle tre chiese sono la testimonianza dei cambiamenti dovuti a fattori ambientali e storici.
È possibile approfondire questa breve introduzione consultando i seguenti documenti:
- Scandolara Ravara e Il Borgo di Castelletto de’ Ponzoni – A cura della Prof.ssa Giuseppina Barosi
- Tesi sulla storia di Scandolara della Prof.ssa Giuseppina Barosi
- Mappa delle proprietà della Famiglia Ponzone
- Programmi, obiettivi, contenuti scuole elementari e asili, dal 1868 al 1970 – A cura della Prof.ssa Giuseppina Barosi
Cultura
Notizie sullo stemma di Scandolara Ravara
Con la delibera n. 9 del 1 novembre 1913 il Consiglio Comunale di Scandolara Ravara, visto l’abbozzo dell’Ufficio Araldico, delibera all’unanimità di far eseguire la copia dello stemma per una spesa complessiva di 40 Lire.
Con delibera n. 22 del 1914 lo stemma viene reso pubblico.
Con Decreto Regio n. 699 il 1° aprile 1915 il re Vittorio Emanuele II concede al Comune di Scandolara Ravara di far uso dello stemma civico.
Blasonatura Stemma
“Partito: al primo troncato, sopra d’argento al castello di rosso (simboleggiante il Casato Soranzi Vidone di San Giovanni in Croce), sotto d’azzurro alla banda ondata d’argento (simboleggiante il Fiume Po che attraversa la Pianura Padana); al secondo inquartato, al primo e quarto di rosso, al secondo e terzo d’oro.”
L’Altare di Ilumvio
La pietra che racconta la storia di Scandolara Ravara
“A prima vista non sembrava che una grossa pietra con un buco in cima. Un blocco di granito senza valore, rovinato dal tempo. Esposto in mezzo a tanti altri nel cortile del Museo Archeologico di Milano. Guardandolo più da vicino però, mostrava sulla targa di presentazione il nome del paese dov’era stato trovato, Scandolara Ravara. Veniva dalla Chiesa Vecchia dove venne usato come acquasantiera fino alla metà dell’Ottocento…”.
Questo è l’inizio della storia del più grande reperto archeologico di Scandolara Ravara esposto al pubblico. Un vero e proprio ‘pezzo’ di storia viva, uscito da un sonno lungo 2000 anni per raccontarci le origini della nostra terra e la vita di chi l’ha abitata. Il libretto che mi sono permesso di scrivere non è altro che una raccolta di fonti, interviste, libri, pergamene e racconti orali degli anziani di Scandolara Ravara, Castelponzone, Motta Baluffi e Gussola.
Vuole essere un invito rivolto agli amministratori pubblici, ai cittadini di Scandolara e Castelponzone, a tutti quelli che amano la cultura, affinché almeno il calco di questo importante reperto possa tornare lì dove è stato per quasi duemila anni. L’altare di Ilumvio è un libro aperto pronto a raccontarci la nostra Storia. Le sue radici che affondano in profondità nel passato sono strumenti indispensabili per assicurare a Scandolara e alla sua gente un solido presente e un futuro meno imprevedibile.
Visualizza l’intero articolo e un’immagine dell’Altare
Il Crocifisso Ligneo conservato nella parrocchia di Scandolara Ravara
Uno studio approfondito condotto dal prof. Giorgio Milanesi, Ricercatore dell’Università di Parma, ha analizzato il crocifisso ligneo della Parrocchiale di Scandolara Ravara, attraverso una serie di confronti, per cercare di risolvere alcuni problemi di carattere storiografico e metodologico.
Il nodo centrale della questione, riguarda la datazione, focalizzando l’attenzione sul contributo di Giorgio Voltini (1991), il quale ha analizzato l’opera cremonese in occasione della mostra del 1991 tenutasi a Mantova.
Oltre alla datazione, un grosso problema è dato dal fatto che si sono conservati pochissimi esemplari di intaglio medievale per poter fare dei confronti: il legno, infatti è un materiale più soggetto al deperimento rispetto ad altre tecniche artistiche (De Francovich).
Negli ultimi anni si è attestato, che la produzione lignea era quantitativamente superiore, soprattutto per due motivi: il costo relativamente basso e la sua leggerezza (Curzi), che consente una maggior facilità nel trasportare le diverse manifatture; proprio per queste motivazioni, si viene a considerare l’arte lignea come un’arte popolare.
Uno studioso come Enzo Carli, ha analizzato alcuni crocifissi italiani medievali, ponendoli a confronto con sculture di produzione tedesca, tirolese e francese, riscontrando che i più antichi non risalivano oltre il XII secolo.
Le domande che dobbiamo porci sono: è legittimo studiare la scultura in legno attraverso quella in pietra? Partendo dal presupposto che esiti analoghi tra scultura lapidea e scultura lignea non sono opera di un medesimo atelier, esse potrebbero derivare da un modello comune, eventualmente eburneo o pittorico?
Ritornando a Scandolara, Voltini data il crocifisso agli inizi del XII secolo, proponendo come modello di riferimento la cultura tedesca-ottoniana, su confronti della scultura in bronzo di fine XI secolo e sui crocifissi lignei di pieno XII secolo; è altrettanto evidente, che una cronologia del XII secolo, si scontra con la possibilità di considerare anche il modello francese.
Attualmente, il crocifisso, si trova sopra la porta d’ingresso della sagrestia nel transetto destro della parrocchiale; esso doveva essere una croce pensile, sospesa all’arco trionfale, in una chiesa sicuramente differente dall’attuale.
Il Cristo è fissato con tre chiodi alla croce, quest’ultima non originale per le differenti proporzioni rispetto al corpo e per la lavorazione a pialla moderna; anche l’aureola è recente, doveva sostituire una corona, come lo si nota dal particolare della nuca.
È un Cristo che ha gli occhi semiaperti e la bocca serrata, rappresentazione di un uomo morente, uomo che però non palesa la natura terrena di Gesù sofferente per le torture subite.
Passando, poi, ad un’analisi stilistica del corpo: le braccia sono innestate in corrispondenza delle spalle mentre il capo, le gambe e il busto, caratterizzati da una rigida geometria, sono intagliati in un tronco unico. Questa peculiarità la si può vedere nella “V” capovolta, grossolanamente resa da due sottili linee orizzontali, intesa ad evidenziare il costato ed a sottolineare l’attacco dell’addome, caratterizzato da un ombelico, reso da un grezzo lavoro di trapano e da due ossa del bacino esageratamente sporgenti.
Osservandolo riscontriamo, un’anomalia della resa volumetrica negli arti inferiori: i piedi del Cristo sono fissati con un unico chiodo, e le anche si trovano sulla stessa orizzontale, per questo motivo, per riequilibrare l’opera si è intagliata una gamba più lunga dell’altra, la sinistra, ponendo il capo reclinato leggermente verso destra e le mani, di discreta qualità plastica, fissate alla croce ad altezze leggermente differenti.
Fissati questi elementi, Milanesi dimostra come sia troppo limitante prendere a riferimento sola la produzione di area tedesca di XI e XII secolo; solo osservando la produzione lignea italiana tra XI e XIII secolo, troveremo facili e numerosi confronti soprattutto tipologici.
Per questo motivo, Milanesi, attribuisce un confronto tra il nostro crocifisso e quello della parrocchiale di Gressoney-Saint-Jean, in Val d’Aosta, del Maestro del Paliotto di Courmayeur, databile attorno al 1200-1210: l’accentuato grafismo del costato, il ventre molto pronunciato, l’innaturale incrocio delle gambe e dei piedi, fanno pensare a molte similitudini col crocifisso cremonese. Altro confronto fatto è stato col crocifisso di Forstenried, nel sobborgo meridionale di Monaco di Baviera, datato al 1200, comparato in base alla postura degli arti inferiori, il modo con cui la cintura tiene legato il perizoma e, soprattutto, la particolare realizzazione dei capelli all’altezza della nuca.
Da questi confronti, Milanesi, ipotizza una datazione differente da quella agli inizi del XII secolo (Voltini), per ritenere più ragionevole posticipare la cronologia del pezzo di Scandolara ai primi tre/quattrodecenni circa del XIII secolo e comunque entro la metà del secolo.
Altro nodo cruciale di questo studio è dovuto alle ragioni della presenza di un oggetto con simili riferimenti culturali nel territorio cremonese.
Come abbiamo già detto, il nostro crocifisso, doveva appartenere ad un edificio diverso, chiesa che tutti gli studiosi hanno individuato in quella che è oggi dedicata a Santa Maria della Pace o, più semplicemente, “chiesa vecchia”.
Il primo documento che tratta di questo edificio è una bolla di papa Innocenzo II del 1132, diretta al priorato cluniacense di San Gabriele a Cremona, nella quale vengono elencate le dipendenze del monastero: tra queste è compresa la «Capellam Sancte Marie» in Scandolara Ravara.
Per intercessione della consorte Matilde e dell’abate di Cluny, l’imperatore Enrico V, il 29 maggio 1116, pone sotto «tutela et mundiburdio» imperiale la pieve di San Pietro di Gurata, nella quale Scandolara Ravara ricadeva nella sua circoscrizione plebana.
Proprio per il ritrovamento di questi dati, Milanesi ipotizza che la cappella di Santa Maria fosse legata al priorato di San Gabriele a Cremona già prima del 1116 e che avesse continuato ad essere legata a San Gabriele fino al XVI secolo, quando quest’ultima si trasforma in chiesa cittadina.
Per questo motivo si è ipotizzato che l’eventuale tramite per l’arrivo in area periferica cremonese di un crocifisso su modello mosano, possa essere individuato proprio nell’appartenenza all’Ordine di Cluny, probabilmente attraverso la presenza nel priorato cittadino di opere mosano-lorenesi che possono essere giunte a Cremona grazie a monaci cluniacensi.
Altro elemento che può sottolineare l’ipotesi di Milanesi è la grande quantità di oreficeria appunto mosana che poteva giungere in Pianura Padana attraverso la mediazione dei monasteri, oggetti che sono stati impiegati come modelli anche per i Cristi mosani databili tra la fine del XII e la prima metà del XIII (Gnudi).
Per concludere possiamo parlare di un artista locale, di modesta qualità che ha intagliato il Cristo ricavando in modo eterogeneo elementi stilistici differenti: l’ incapacità artigianale, il tenore grafico generale e la rigidità volumetrica, sembrano riprendere modelli vagamente “antelamici”; molto più attento alla resa naturalistica, mosano-borgognona, in cui è possibile identificare una serie di oggetti di oreficeria renano-ottoniana precedentemente giunti nel territorio.
Un’opera dunque il cui carattere “provinciale”, segnala l’incapacità di elaborare una “lingua” propria e originale.
Giulia Pallavicini
Dalla rivista Ricerche di S/Confine
Giorgio Milanesi – “Il crocifisso ligneo di Scandolara Ravara”
Territorio
L’attuale fisionomia del territorio rispecchia ancora i segni dell’opera di bonifica che le popolazioni locali effettuarono per garantire terre per l’agricoltura strappandole lentamente alle paludi e ancora oggi l’elemento fondante del paesaggio scandolarese, così come dell’intera area casalasca, deriva dalla sua essenza di paese tradizionalmente agricolo. È stato talmente stretto e condizionante l’intreccio tra agricoltura e il paese, da averne determinato la consistenza del centro abitato, la tipologia degli edifici, la densità del popolamento, la cultura e il carattere della gente, il modo di vivere e il rapportarsi con gli altri.
All’interno del contesto urbano troviamo molte cascine, in genere monofamigliari, con aia, fienile e stalla, tipiche della zona casalasca. Altre cascine le troviamo in campagna, dove una volta erano frequenti i filari di alberi a perimetro dei campi e dove troviamo tracce dei “casini”, che erano una costruzione tipica della zona ed erano adibiti al ricovero di emergenza di contadini ed animali.
Le caratteristiche urbanistiche della frazione di Castelponzone sono completamente diverse trattandosi di un borgo chiuso, sorto come guarnigione intorno al castello, ora scomparso, e poi storicamente dedito al commercio e all’artigianato.
La testimonianza architettonica più importante del paese di Scandolara Ravara è rappresentata dalla Chiesa Vecchia, risalente alla seconda metà del quattrocento. La sua facciata in cotto è in puro stile romanico-lombardo, abbellita da cupsidi e affreschi, capolavori pittorici del Pampurino. La torre, che svetta al suo fianco, sembra essere anteriore, anticamente preposta a guardia della zona.
Castelponzone, frazione di Scandolara, presenta episodi architettonici e decorativi tanto semplici quanto preziosi, segno dell’importanza commerciale che questo centro assunse nella storia. La via principale è accompagnata da entrambe i lati dai portici e dalle botteghe, nelle quali trovò sede la consolidata tradizione dei “Cordai”, antica attività artigianale del luogo e dove si tenne, per secoli, il più importante mercato della zona. Al suo esterno è possibile scorgere gli antichi tracciati dei fossati che circondavano il paese, e visitare l’antica porta di accesso al centro urbano, sede di una torre, e anticamente attrezzata con un ponte levatoio.